rovere: dalla terra a marte

rovere: dalla terra a marte

Un viaggio dalla terra a marte con i rovere

Intervista a cura di Marika Falcone di Futura 1993

E’ il 18 febbraio ed è appena uscito il nuovo album dei rovere, ‘dalla terra a marte’. Sì, ancora e sempre tutto in minuscolo. Voci distorte, echi e synth con effetti ‘’spaziali’’ sono le prime cose che abbiamo immaginato appena letto il titolo. Ma una volta passati all’ascolto, era chiaro che stavamo sbagliando strada. Il nuovo album di Nelson, Luca, Lorenzo, Marco e Davide non racconta un solo tipo di viaggio, unisce diversi tipi di esperienze tra geografie, tempo e consapevolezze. “3,2,1...major tom” è il pezzo che apre questo percorso tra lo spazio e gli anni ‘90, e Bowie è solo uno tra i nomi degli artisti che hanno influenzato il processo creativo dell’album. Da qui, il desiderio di omaggiarlo affidando il titolo d’apertura al famoso astronauta, uno dei suoi più importanti personaggi. Rimandi agli anni ‘80 e ‘90, nei testi e nella musica, si ritrovano in tutto il disco, che unisce pop e funk; il nuovo progetto si allontana dal primo lavoro della band e sceglie di essere il disco della crescita. I brani astronauta e crescere, appunto, mettono nero su bianco questa volontà di allontanarsi dalle cose di tutti i giorni per poterle osservare da una dimensione nuova, scoprirle diverse e, grazie a questo, riuscire a conoscersi e capirsi meglio. I rovere sono pronti a farsi conoscere, scoprire e ad allontanarsi dalle dinamiche discografiche, sicuri che questo possa far felici i loro fan, che li aspettano live al più presto. A proposito di tour, le date di marzo sono state (tristemente) rimandate a luglio: nell’attesa non vi resta che ascoltare ‘dalla terra a marte’ e leggere la chiacchierata che noi di Futura 1993 abbiamo fatto con loro!

Ciao ragazzi! Prima di tutto, come state e come è andato il lavoro sul nuovo album?

Ciao Ragazzi! Ben trovati! Noi stiamo molto bene, siamo arrivati alla fine di questo nostro viaggio per la scrittura di “dalla terra a marte”. Caparezza dice che “il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista” e ora capiamo il perchè. Non è sempre stato un percorso facile, anzi. Con anche la pandemia la scrittura e le possibilità di lavoro sono drasticamente cambiate e hanno influito sui messaggi e sui contenuti del disco. Tirando un po' le somme siamo veramente soddisfatti. Insieme a Matteo Cantaluppi, il produttore del disco, abbiamo trovato il sound perfetto che volevamo. Non vediamo l'ora di farvelo ascoltare.

A proposito del disco, 3,2,1… Major tom è il pezzo che lo apre: che rapporto avete con Bowie, con Space Oddity e come avete deciso di inserirlo nell’album?

In realtà è stato un processo piuttosto naturale. Ovviamente Bowie è stata una delle influenze del disco, tanto che abbiamo pensato di omaggiarlo citandolo appunto nella prima traccia. “3,2,1...major tom” è l'inizio del nostro viaggio, è il punto in cui le aspettative di ciò che si incontrerà vengono in contatto con la realtà. Noi avevamo bene in mente di che cosa volevamo raccontare in questo secondo lavoro e abbiamo trovato diversi punti in comune con il lavoro di David e abbiamo studiato molto il suo punto di vista per potercene fare uno nostro.

Adesso che avete puntato allo spazio, provando ad allontanarvi e a guardare tutto da un altro punto di vista, le cose vi sembrano più facili da affrontare o analizzare? Sento, per esempio, in Astronauta una voglia di buoni propositi e di guardarsi dall’alto per provare a cambiare qualcosa…

E' esattamente questo il concetto. In un periodo delle nostre vite in cui siamo dovuti rimanere a casa, isolati da tutto ciò che ci circondava, abbiamo capito (forse) cosa è veramente essenziale e cosa in realtà non lo è. Ci è stata posta un'altra prospettiva sulle cose e noi abbiamo provato a raccontarlo con la nostra musica, paragonandolo proprio ad un viaggio con una metropolitana nello spazio. “astronauta” è effettivamente uno dei primi brani a cui abbiamo lavorato durante la prima quarantena. L'idea della canzone c'era già da tempo ma in quei mesi abbiamo trovato cosa ci mancava per poter chiudere il cerchio.

Pop, funk, rimandi anni ‘90 e ‘80 non solo nei testi, ma anche nella musica del disco: per scrivere e produrre quest’album il vostro è stato un viaggio nel tempo, oltre che nello spazio!

In effetti è vero. Da un punto di vista musicale non ci siamo messi vincoli di alcun tipo. Volevamo stupirci e stupire l'ascoltatore. Uscire un po' dalla nostra comfort zone e andare incontro a qualcosa di nuovo. Le influenze rispetto alla musica del passato sono tante, anche con vere e proprie citazioni. In uno dei brani, ad esempio, c'è un omaggio ai Daft Punk. Speriamo riusciate a coglierlo.

Ho letto che avete deciso di far uscire come singolo una canzone che si presta poco a certe dinamiche discografiche. Parlate di ‘crescere’? E in che modo si allontana dalle dinamiche discografiche alle quali vi riferite?

Esatto, è “crescere”, uscito il 21 febbraio, un brano che come avete detto voi si scosta un po' da certe dinamiche del mercato discografico. Quando si punta a far uscire un singolo si cerca sempre la canzone più adatta per poter coinvolgere le radio, i social e per poter diventare virale e avere una grossa risonanza mediatica. Noi volevamo totalmente l'opposto di tutto ciò. Il nostro desiderio era quello di fare un piccolo omaggio a quelle persone che in questi due anni senza concerti ed eventi hanno comunque deciso di continuare ad ascoltarci pubblicando una canzone molto intima e sussurrata. Una canzone che si pone verso la fine del racconto del viaggio spaziale, in cui si iniziano a tirare le somme su chi stiamo diventando, sia come persone che come artisti.

A proposito di discografia e riconoscimenti, lo scorso settembre tadb è stato certificato disco d’oro… pensate che questo abbia alzato le vostre aspettative sul prossimo album?

In realtà non pensiamo che abbia influito sulle nostre aspettative, anche perché è arrivato nel momento in cui stavamo già chiudendo la scrittura del disco, mancava ormai molto poco. Siamo molto orgogliosi di questo nostro disco d'oro, mentiremmo se dicessimo che non era un nostro sogno. È una bellissima soddisfazione e cogliamo l'occasione per ringraziare ancora una volta il nostro pubblico senza il quale tutto questo non esisterebbe.

I dischi sono come i figli e quindi non riuscite a scegliere il vostro preferito. C’è invece una traccia di Dalla terra a Marte alla quale siete più legati?

Non è semplice rispondere a questa domanda, perché avendole scritte di nostro pugno in ognuna si celano tanti aneddoti, momenti e riflessioni che rendono ogni canzone unica e un bel ricordo. Molto spesso i favoritismi vengono fuori durante i concerti, i brani a cui ci si affeziona di più tendenzialmente sono anche quelli che ci si diverte più a suonare live.

Il progetto grafico della copertina sembra un poster di un film di fantascienza e riesce ad unire diversi concetti di spazio in una sola immagine, che tra l’altro è quello che siete riusciti a fare con tutti i pezzi dell’album! Com’è nata l’idea? Avevate già un modello in mente?

In effetti sì, avevamo in mente di utilizzare una foto vicino ad un passaggio ferroviario. La cosa divertente rispetto allo scatto utilizzato è che l'abbiamo fotografato a luglio inoltrato. Era una mattinata caldissima, non c'era un filo di vento. Dovendo il disco uscire in inverno ci siamo dovuti vestire in maniera pesante, alcuni con la giacca o la camicia pesante. Non potete capire quanto abbiamo sofferto. In questo dobbiamo fare un immenso ringraziamento ad Alberto Ravaglione e ovviamente a Enrico Della Vecchia per tutte le grafiche, non solo della copertina, ma anche dei diversi singoli e delle grafiche all'interno del disco.

Come vi fa sentire l’idea di riuscire a ricominciare un tour?

In questi mesi di lavoro in studio e in sala prove è la nostra oasi nel deserto. È il miraggio che più corriamo e più si allontana da noi. Purtroppo in questi 2 anni abbiamo fatto solo 4 concerti con il pubblico seduto. Chi ci ha mai visto dal vivo o ci conosce sa che noi siamo molto energici e coinvolgenti dal vivo, abbiamo un rapporto molto stretto col nostro pubblico, ci divertiamo molto. Essere ormai alla fine di questa attesa è un grande segno di speranza e di normalità di cui non solo noi, ma tutto il mondo dello spettacolo ha proprio bisogno. Lavoratori dello spettacolo in primis. Non vediamo l’ora di tornare a saltare, anche perché detto tra noi è la cosa che ci riesce meglio.

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